Sindrome di Stendhal: la bellezza che può far ‘male’

dalla rubrica “ARTE e PSICHE”

di Delia Barone

A tutti noi sarà capitato di provare un intenso desiderio di impadronirsi della bellezza inestimabile di un’opera d’arte. Il sentirsi inermi di fronte all’impeccabile avvenenza di un’opera artistica può, difatti, generare reazioni di turbamento, scompenso o persino blocco mentale e fisico. Secondo le testimonianze rilasciate dagli individui affetti da Sindrome di Stendhal, l’abbandono dell’opera e dei sentimenti appassionati che ne derivano, provoca un senso di frammentazione dell’Io accompagnato dall’idea di una vita che si inaridisce. La forza della rappresentazione artistica sembra determinare la rottura di una struttura razionale, che fa emergere aspetti inconsci dello spettatore.

I soggetti coinvolti lamentano un senso di perdita del proprio essere, come se il proprio mondo interno stesse andando incontro al collasso. Diversi studiosi si sono dedicati alla decodificazione del significato che emerge dall’iconografia classica, dagli affreschi, dalle sculture dell’epoca, condividendo un’unanime opinione, secondo la quale, attraverso dipinti, sculture ma anche composizioni musicali, si trasmettono i propri conflitti interiori, traumi infantili, istinti sessuali, complessi, emozioni ed impulsi repressi.

La sindrome di Stendhal, comunemente nota come: “Sindrome di Firenze”, è una neuropatologia di carattere psicosomatico, piuttosto sporadica nella sua manifestazione, appartenente alla categoria delle cosiddette “sindromi del turista”, proprio perché questo stato di malessere psico-fisico colpisce prevalentemente i turisti durante i loro viaggi. I soggetti affetti da tale sindrome, essendo ipersensibili ed iperemotivi, provano una profonda sofferenza psicologica che viene somatizzata, esprimendosi mediante alcuni dei seguenti sintomi più frequenti, quali: palpitazioni, dispnea, ‘cuore in gola’, attacchi di panico, confusione mentale, vertigini, disturbi senso-percettivi, svenimenti, allucinazioni, difficoltà respiratoria, umore depresso o stati di euforia. Fortunatamente, nella gran parte dei casi non è necessario intervenire con alcun tipo di trattamento o cura, poiché le manifestazioni tendono ad autorisolversi in un arco di tempo relativamente breve.

Dal punto di vista etimologico, il nome della malattia deriva dal noto letterato francese Stendhal, che essendo stato affetto da tale sindrome, decise di riportare nella sua opera, intitolata: “Napoli e Firenze: un viaggio da Milano a Reggio”, una descrizione accurata della patologia. L’opera è stata composta in seguito ad una visita turistica, avvenuta a Firenze intorno al primo ventennio del 1800, presso la Chiesa di Santa Croce. Lo scrittore ammette di aver vissuto un’esperienza emotivamente straordinaria e allo stesso tempo destabilizzante, tanto da restare folgorato e sconvolto da un’atroce bellezza, considerata responsabile degli spiacevoli sintomi sopra citati.

Le neuroscienze hanno fornito delucidazioni in merito alle reazioni neuronali e cerebrali dei pazienti con tale sindrome. Gli studi più recenti hanno dimostrato che l’esordio della patologia è dovuto all’azione smodata dei neuroni specchio, all’eccitazione nelle sedi cerebrali dell’emozione, della sfera affettiva, della memoria emotiva, della pianificazione ed esecuzione motoria, dell’umore e della regolazione neuroendocrina. Le sedi cerebrali coinvolte sono quindi, le seguenti: l’amigdala, i gangli della base, l’ipotalamo, lo striato ventrale e la corteccia orbito frontale. L’esatta motivazione per cui la sindrome di Stendhal si manifesta soltanto in alcuni individui, non è ancora del tutto chiara. In effetti, risulta abbastanza complicato individuare un fattore comune a tutte le persone che hanno sperimentato la sintomatologia della sindrome in questione, ad eccezione di una grande sensibilità ed emotività che appaiono come uniche costanti.

A questo proposito, è interessante notare che, la nota psicoanalista fiorentina, Graziella Magherini (1979) asserì che la sintomatologia presentata dai pazienti era connessa più che altro alla storia personale dell’individuo e alle emozioni in esso suscitate dall’osservazione dell’opera e non tanto alla bellezza dell’opera d’arte in sé. Attraverso il sistema nei neuroni specchio, che si attiva sia quando svolgiamo un’azione in prima persona, sia quando la osserviamo o ascoltiamo, siamo in grado di imparare attraverso l’imitazione e di comprendere le motivazioni del comportamento altrui e dunque, di empatizzare.

<<Per comprendere l’altro, cioè per imitare i suoi sentimenti in noi stessi, noi ci mettiamo in una prospettiva di imitazione interna che in qualche modo fa sorgere, fa sgorgare dei sentimenti in noi analoghi, in virtù di un’antica associazione tra movimento e sensazione>>. È quanto sostenuto dal filosofo tedesco F. Nietzche. L’opera ben ideata, pertanto, sarà in grado di evocare in noi tutto questo, catapultandoci in quella dimensione di sensazioni ed emozioni che l’artista abile ha costruito per noi, con l’auspicio che non faccia poi così male.

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