Chiara Ferragni porta dei veri e propri ‘abiti d’arte’ sul palco dell’Ariston

di Francesca Pastoressa

Sono state all’insegna dell’arte contemporanea le due attesissime apparizione di Chiara Ferragni durante la 73esima edizione del Festival della musica italiana. Con il chiaro obiettivo di voler dare un senso concreto alla sua co-conduzione, l’influencer ha scelto di portare in scena non solo degli abiti-opera d’arte realizzati per lei da due colossi della moda francese – Dior e Schiaparelli -, ma anche dei messaggi ben precisi che hanno mirato a sensibilizzare il pubblico su temi tratti dall’ideologia femminista.

Il vestito manifesto

È sulle note di Amare di La Rappresentante di Lista che Chiara Ferragni affronta il suo primo ingresso sul palco dell’Ariston, mostrandosi di spalle in cima alla (temutissima) scala del teatro più famoso d’Italia. Ciò che arriva al pubblico prima del suo solito sorriso smagliante è la scritta ricamata sulla “stola-manifesto” portata sulle spalle: Pensati libera. Il primo messaggio che l’influencer ha voluto trasmettere è racchiuso in questa “semplici e pur così forti parole” racchiuse in «una frase che trasmette con forza un invito responsabile a tutte le donne a staccarsi dal ricatto emotivo della loro vita quotidiana», per citare le stesse parole che compaiono in un post Instagram prontamente condiviso sui social. L’elegante abito in seta nera a corolla – in pieno stile Dior – e completo di stola color panna che dà il via all’esperienza sanremese della Ferragni, nasce da un’idea della stessa imprenditrice e del suo manager e amico Fabio Maria Damato, in collaborazione con Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa della maison d’alta moda francese, e il duo creativo Claire Fontaine.

L’opera di Claire Fontaine a cui si ispira l’abito manifesto scelto per il debutto non è altro che una scritta di un autore anonimo fotografata dal collettivo – fondato da James Thornhil e Fulvia Carnevale a Parigi nel 2004, e oggi stabilitosi a Palermo – su un muro a Genova dopo il passaggio di una marcia femminista. Sono nate subito delle controversie in merito alla paternità della frase, rivendicata dallo street artist bolognese Cicatrici.Nere, che si è subito discostato dalla mercificazione del claim a cui, a suo giudizio, si è assistito a Sanremo.

Il vestito senza vergogna

Per il suo monologo – una lettera rivolta a sé stesse bambina – la socialite ha scelto di vestirsi del suo stesso corpo, con un abito che è sicuramente stato il più discusso tra quelli portati in scena: il Naked Dress. «Non sono nuda» , sono le prima parole che pronuncia subito dopo il suo ingresso, anticipando le polemiche che le si sono poi di fatto scagliate contro da parte di chi, ogni giorno, è lì pronto a puntarle un dito contro. «La nudità è un simbolo molto forte sia di forza che di vulnerabilità. Vestire una donna con la propria nudità significa che non ha nulla da nascondere, che è inviolabile, che sta investendo il suo corpo con un significato che va oltre il desiderio maschie. La nudità fa arrabbiare le persone perché mostrare la mancanza di vergogna per il proprio corpo è visto come un’aggressione morale»– sono le parole con cui Maria Grazia Chiuri spiega il senso del messaggio che questo abito ha voluto trasmettere.

L’idea di una creazione che simulasse le fattezze fisiche della stessa Chiara Ferragni deriva da un’ispirazione tratta da una creazione della stessa direttrice creativa di Dior per le sfilata P/E 2018: il risultato è una vera e propria opera d’arte in tulle color carne, tempestata di migliaia di micro cristalli, che riproduce, grazie a un ricamo trompe d’oeil, il corpo nudo dell’influencer «al naturale e liberato da quella vergogna che hanno da sempre imposto a tutte, a partire da Eva, la pima donna della storia indotta a provare vergogna» – come spiega su Instagram la stessa Chiara. Il richiamo ideale, ma anche visivo, a Eva è esplicitato nel rimando diretto al dipinto Eva di Lucas Cranach di Ä, cui è ispirato anche lo shooting fotografico di presentazione dell’abito, che ritrae l’imprenditrice con in mano la mela del peccato, esattamente come la prima donna della Terra.

La gabbia

Il quarto abito indossato per la prima serata del Festival, concepito da un’idea e da una ricerca fatta personalmente dalla stessa Maria Grazia Chiuri, è ispirato ad un’opera-performance dell’artista Jana Sterbak, Remote Control: nell’intento di sovvertire i tradizionali costrutti come maschile/femminile, corpo/macchina, l’opera non è altro che una gabbia in acciaio motorizzata che può essere azionata da un telecomando ed è stata progettata per rendere complicati i movimenti di chi lo indossa, poiché la persona non solo è controllata da lontano, ma è anche sospesa a diversi centimetri da terra.

Il secondo riferimento è quello ai tipici panier settecenteschi, che obbligava le donne in abiti impossibili da gestire, pur di mantenere alti gli standard di eleganza e femminilità. Partendo da queste idee di base, l’abito, composto da una tutina jampsuit di jersey tempestata di strass e costretta in una gonna di tulle, non è altro che un invito a «liberare le nuove generazioni dagli stereotipi di genere nei quali spesso le donne si sentono ingabbiate».

La donna e madre guerriera

Consolidando un sodalizio ormai vivo già da qualche anno, a Schiaparelli, brand surrealista e sovversivo di madame Elsa, la sua madre fondatrice, e ora affidata al piglio creativo di Daniel Roseberry, è stato affidato il compito di continuare il percorso narrativo iniziato dalla Ferragni durante la prima serata, incentrato sul suo essere una donna forte e indipendente, che prescinde da qualsiasi convenzione e sovrastruttura imposta dalla società conservatrice e patriarcale nella quale, purtroppo, ancora viviamo. Una volta sollevato il sipario, l’influencer suggella la sua entrata in scena durane la serata finale del Festival in un look che crea un forte cortocircuito visivo: un etereo vestito dal taglio bias in raso di seta blu elettrico – colore da sempre associato alla maternità – è drappeggiato su una scultura che riproduce un busto in resina metallizzata dorato, arricchito da una collana lucchetto.

Attraverso un abito che imita alla perfezione il surrealismo tipico della casa di moda parigina, il messaggio arriva forte e chiaro: «Essere donne senza dover essere considerate solo madri. Non essere considerate solo apparati riproduttivi è la scelta per cui combattere ogni giorno». La donna è infatti capace di una «forza che non ha bisogno di imitare quella maschile per essere considerata di pari livello», come dimostra la durezza dell’armatura color oro scolpita sui seni di Chiara.

Body painting

Il mondo dell’arte è richiamato senza possibilità di equivoci soprattutto grazie al secondo abito portato in scena: il Body Painting.  L’abito a colonna in raso blu, con un motivo originale dipinto a mano in oro ed estratto direttamente dalla collezione ready-to-wear primavera estate 2023 della maison, è un chiaro omaggio alle Antropometrie di Yves Klein: l’artista francese è stato un precursore della body art, in le modelle sotto la sua direzione creativa venivano liberate della loro immobilità da manichino e, dopo essersi intinte nel colore blu, si stendevano autonomamente su grandi canvas bianchi, lasciando così tracce delle forme del loro corpo. «Liberate il vostro corpo e fatene ciò che volete perché il corpo di una donna e il capolavoro massimo della creazione» – cita il post Instagram dedicato alla spiegazione del messaggio dietro questo look apparentemente così semplice.

L’abito dei diritti umani

Il messaggio insito nel terzo look portato sul palco dell’Ariston è affidato alla vistosissima collana rivestita in oro che fa mostra di sé nello scollo profondo dell’elegantissimo abito in velluto nero indossato dalla Ferragni. Si tratta di un gioiello appositamente disegnato dal direttore creativo di Schiaparelli, che vuole portare l’attenzione sui diritti riproduttivi delle donne: il monile – che ricorda la statuetta raffigurante la Venere di Willendolf – è la rappresentazione di un utero composto da diverse sezioni del corpo della donna e sembra voler urlare che «l’accesso all’aborto sicuro e alla procreazione assistita è una questione di diritti umani a cui non dobbiamo rinunciare. Perché ogni essere umano, uomo o donna che sia, deve essere messo in grado di prendere liberamente le decisioni sul proprio corpo

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